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Bevagna 1943-1944

La disfatta delle compagne di guerra in Africa e in Russia, il fallimento dell’incontro con Hitler a Feltre e la rapida invasione delle forze alleate, segnarono rapidamente la fine del regime mussolianiano. Il 24 luglio 1943 il Gran Consiglio Fascista approvò l’ordine del giorno di Dino Grandi e costrinse Mussolini a dimettersi. Il giorno successivo, su espressa indicazione del Re Vittorio Emmanuele III, il Duce fu arrestato. L'esultanza degli italiani in definitiva però durò poco, giacché Badoglio si apprestò a dichiarare che: "la guerra continua a fianco dell'alleata Germania" mentre segretamente trattava con gli Alleati quello, che in tanti definirono armistizio, ma che nei fatti era una resa incondizionata. Le città italiane, in quel periodo, e con loro il sistema organizzativo tedesco e fascista, subirono pesanti bombardamenti angloamericani.

Solo l'8 settembre 1943 il popolo fu informato dell'“armistizio”, che lasciava l'esercito italiano senza ordini, allo sbando e facile preda delle FF.AA. tedesche. Molti furono convinti della fine delle loro sofferenze, disertarono o abbandonarono i luoghi della guerra, e in pochi giorni i tedeschi fucilarono sul posto, o fecero prigionieri, più di 650.000 soldati italiani: una tragedia immane.

Il proclama del gen. Badoglio, la sera dell’otto settembre 1943, che segnò, di fatto, la resa dell’Italia alle forze alleate anglo-americane, fu accolto a Bevagna quasi nell’indifferenza. Non ci furono particolari manifestazioni di giubilo se si eccettua la distruzione delle insegne fasciste, sovrapposte alla bacheca di via flaminia, da parte di Cesare Manini e di Martino Lepri, fatto questo che segnò non poco il loro destino.

Memori, forse, del fatto che la guerra continuò imperterrita anche dopo la caduta di Mussolini, la popolazione di Bevagna restò nel silenzio, aspettando probabilmente il fluire degli eventi.

Sorpresi, alcuni, terrorizzati, molti, dalla rinascita repubblichina del fascismo, i giovani del territorio, al pari di molti loro coetanei, restarono indecisi sul da farsi.

Nello stesso mese di settembre i tedeschi stabilirono un loro presidio a Bevagna e precisamente nell’edificio delle scuole di San Francesco. Il mese successivo, con Armando Rocchi governatore della provincia, al comando militare tedesco si affiancò il governo della Repubblica Sociale Italiana che nominò Ferruccio Mattoli podestà della città per poi avvicendarlo con il Commissario Mario Andiloro.

Si andavano anche costituendo in città, malgrado molte difficoltà, le strutture organizzative della Repubblica Sociale Italiana appartenente alla 103° Legione di Foligno: la Guardia Nazionale Repubblicana che trovò a Bevagna 39 legionari e la Guardia Giovanile Repubblicana che ne contò 27. Oltre a questi vi era un numero imprecisato di appartenenti al Partito Fascista che fungevano da sentinelle del territorio.

La caccia agli oppositori, con una struttura di vigilanza così stretta, si fece particolarmente dura. I fascisti di Bevagna e delle frazioni si distinsero nella delazione, nella caccia e nell’arresto di cittadini sospettati di essere oppositori del regime e nei mesi successivi anche per l’attività nei rastrellamenti contro i partigiani.

Molti furono i bevanati sospettati di essere avversari del fascismo e per questo tenuti sotto stretta sorveglianza o arrestati: Domenico Pambianco, carcerato 6 mesi a Perugia per “motivi di pubblica sicurezza, l’avvocato Gabriele Crescimbeni, arrestato per gli stessi motivi, carcerato e spedito successivamente nei campi di concentramento nazisti dove morì nel febbraio del’44, Giuseppe Lepri, detenuto a Foligno e Martino Lepri, suo fratello rinchiuso a Foligno e poi Perugia, per motivi politici, Adolfo Gasperini, arrestato e prigioniero a Foligno, Francesco Secondari, “indagato” e rinchiuso a Perugia per oltre un mese, il colonnello Grisippo Pagliochini, già podestà di Bevagna durante il governo Mussolini, a cui venne perquisita più volte la casa prima di darsi alla macchia. Molti furono anche gli episodi di cattiverie gratuite e soprusi, soprattutto nelle frazioni, perpetrate a danno di contadini anche solo sospettati di avere idee liberali o democratiche. Il clima di tensione e di terrore accrebbe, nel novembre ’43, con la chiamata alle armi delle classi 1923, 1924, 1925 e la pubblicazione del famigerato Bando Graziani che prevedeva la pena di morte per i renitenti.

Non furono molti quelli che risposero alla chiamata alle armi, benché il prefetto Rocchi avesse investito tutta la sua credibilità nel reclutamento e nella costituzione dell’esercito della Repubblica Sociale. A Cantalupo la consegna dei precetti procurò più di una rimostranza nella popolazione, stremata dalla guerra e dalla fame.

La caccia ai disertori e ai ribelli raggiunse momenti drammatici quando in rapida successione furono fucilati sul posto, per renitenza alla leva, i fratelli Ceci a Marsciano e soprattutto Amerigo Fiorani e il suo amico Luigi Moretti a Montefalco, fatto questo che sconvolse i giovani e gli abitanti di Bevagna.

Iniziò per molti la latitanza, la fuga dalla paura della guerra, in maniera solitaria o aggregandosi a gruppi già formati. La decisione di darsi alla macchia fu presa d’istinto o mutuata dalle decisioni di fratelli, parenti, amici o semplici conoscenti. La presa di coscienza dell’importanza della ribellione allo stato fascista e ai tedeschi arrivò più tardi, quando le bande sulle colline si organizzarono compiutamente con un percorso logico politico e militare. Molti giovani scelsero il rifugio solitario dei tanti nascondigli che offrivano le colline, sopra la città, per poi tornare furtivamente, di notte, a dormire nelle loro stanze, con la paura di essere individuati e arrestati. Tanti invece preferirono organizzarsi e fuggire in gruppo, con il vantaggio di affrontare in maniera solidale le difficoltà del momento ma con la condizione sfavorevole di essere più facilmente individuabili.

Tra i primi che presero coscienza dello stato di ribelli e partigiani ci furono sicuramente i fratelli Balbo e Balilla Morlupo, che scelsero di seguire immediatamente il raggruppamento dei Sancarlisti folignati insediatisi a Radicosa, sulle colline di Trevi.

I giovani dell’Istituto San Carlo di Foligno erano un gruppo di studenti antifascisti, amanti della letteratura e del teatro, legati all’ambiente dell’Azione Cattolica. La loro decisione di entrare in clandestinità e combattere per la libertà e la liberazione dell’Italia fu uno dei momenti cruciali dell’evoluzione del movimento partigiano dell’Umbria centrale.

Dopo la cattura del colonnello Salcito nel dicembre ’43 e l’ingrossamento del gruppo di ribelli saliti a Radicosa, il comando della formazione partigiana fu affidato ad Antero Cantarelli, già presidente diocesano dell’Azione cattolica e forte di una notevole esperienza militare. Nella ristrutturazione politica ed organizzativa della banda fu nominato commissario politico il “comunista o filo-comunista” Balilla Morlupo, nomina che servì a bilanciare politicamente e stabilizzare il raggruppamento partigiano.

Balbo Morlupo detto “Angelo”, studente classe 1924, era il fratello di Balilla. Fu assassinato, dopo breve tempo dalla latitanza, e precisamente il 19 febbraio del 1944, a Pieve Torina, sull’appennino umbro marchigiano. Nella zona si era installato un raggruppamento di partigiani che, al comando di un certo Pasquale di Roma, vivevano taglieggiando e terrorizzando la popolazione locale. Balbo, saputo dei fatti, si accingeva a denunciare al comando generale le ruberie della banda e fu ammazzato. Il giorno seguente, con un azione di sorpresa, i partigiani della Brigata Garibaldi, agli ordini di Franceschini, circondarono e disarmarono la banda. Sottoposti a pubblico processo di fronte alla popolazione, Pasquale e il suo luogotenente furono fucilati sul posto.

A Balbo “Angelo” Morlupo fu poi intitolato un battaglione della IV brigata Garibaldi.

A Balbo “Angelo” Morlupo è stata dedicata una via della città di Bevagna.

Nel gruppo partigiano di Radicosa c’era un altro giovane studente bevanate, Socrate Mattoli, appartenente a una delle famiglie più importanti della città, discendente di Agostino Mattoli, creatore della medicina omeopatica e politico amico di Giuseppe Mazzini. Socrate Mattoli sposò in seguito Nicoletta Arcamone, sorella del partigiano Massimo Arcamone, e diventò imprenditore illuminato e uomo di grande cultura.

Dopo aver
partecipato alla guerra di Liberazione e
laureatosi in ingegneria, è emigrato nell’America del Sud, dove ha fondato insieme ad
altri la Sade, una delle più grandi compagnie del continente sudamericano
realizzando l’elettrificazione dell’Argentina e del Brasile, contribuendo notevolmente allo sviluppo economico dei due paesi. Insieme all’attività
imprenditoriale ha portato avanti un intenso impegno
sociale. E’ stato fondatore e presidente della prima associazione di umbri a San
Paolo, promuovendo i primi viaggi di giovani e anziani emigrati nella loro
terra d’origine. Ha realizzato, insieme alla moglie Nicoletta, la scuola
italo-brasiliana ‘Eugenio Montale’ un gioiello educativo di integrazione
culturale. Gran parte del suo impegno fu rivolto oltretutto alle attività di
sostegno e allo sviluppo dei ceti più poveri del suo paese di adozione.

Tra i primi a salire le colline verso la Madonna della Valle ci fu sicuramente Martino Lepri. Figlio anch’esso di famiglia benestante, sebbene avesse perso da tempo la sua agiatezza, maestro elementare, aveva sposato Antonia Santi, nipote del socialista Pietro Santi, farmacista della città, dalla quale ebbe due figli: Maria Teresa e Giulio.

Dopo aver servito la patria in Marina nella guerra di Etiopia e il richiamo temporaneo dal proclama dell’ingresso dell’Italia in guerra, si era dedicato all’insegnamento e alla famiglia. La sera del 25 luglio ’43, dopo aver appreso la notizia della caduta del Duce, probabilmente esausto dai soprusi del regime fascista, con Cesare Manini, distrusse le insegne del fascio littorio sovrapposte alla bacheca di via Flaminia. Ignaro che il regime fascista fosse di là da essere defunto, subì la rappresaglia violenta dei fascisti locali che lo fecero arrestare insieme a suo fratello Giuseppe. Furono incarcerati a Foligno. Giuseppe fu rilasciato qualche giorno dopo mentre Martino veniva tradotto al carcere di Perugia. Durante il viaggio riuscì a fuggire rocambolescamente dal treno bombardato, sul quale viaggiava insieme ad altri detenuti.

Rientrato a Bevagna furtivamente, fuggì sulle colline verso la Madonna dell Valle, aggregandosi poi ad altri fuggiaschi provenienti da Castelbuono e Torre del Colle.

Partecipò probabilmente in maniera molto attiva, considerato anche il suo titolo di studio, alla crescita politica e militare della banda di Damino Pelagatti che si stava organizzando e che in seguito confluì nella IV Brigata Garibaldi di Foligno.

Martino Lepri morì assassinato il 22 aprile 1944, non aveva ancora compiuto 30 anni, per mano di Harum Regepovic e Memetovic Memet, slavi montenegrini che appartenevano alla stessa banda, e che avevano preso a razziare la popolazione locale. Le forti rimostranze di Martino alle loro azioni infastidirono non poco gli slavi che decisero la sua fine.

Subito dopo la guerra, a Martino Lepri è stato intitolato il Circolo della Federazione Comunista di Torre del Colle.

A Martino Lepri è stata dedicata una via della città di Bevagna.

Damino Pelagatti fu un altro partigiano molto attivo nelle zone collinari tra Bevagna e Madonna della valle.

Figlio di un caduto della grande guerra, di origine di Castelbuono, combatté nel ’41 nel Regio Esercito Italiano nell’invasione del Montenegro. Al richiamo delle armi preferì la fuga sui monti. Sorprendente fu la sua fuga. Alla vista dei fascisti e dei tedeschi che lo accompagnavano, con la madre intenta a distrarli, saltò dal retro, al secondo piano della casa, in mezzo agli olivi, aggrappandosi ai rami. Presa la direzione di un fosso che scorreva non lontano, risalì velocemente per poi perdersi nella macchia. I fascisti e i tedeschi spararono diverse raffiche di mitra senza raggiungerlo. Restò immerso in un altro fosso tutta la notte per sfuggire i cani che lo braccavano. Lo inseguirono fino a notte fonda ma oramai aveva fatto perdere le sue tracce.

A Damino Pelagatti ben presto si unirono diversi parenti, amici e conoscenti: il cognato Marzio Albi, poi Sabatino Placidi e Antonio Bianchi, Tordoni Angelo, Novello Perugini, Euro e Dante Bonifazi di Castelbuono; Proietti Antonio, Sbraletta Giuseppe, Austero Grivelli, Zefferino Cerqueglini, Sensidoni Giovanni e Celati Gino, Radicioni Osvaldo, Sinibaldo e Giovanni Sinibaldi, Scatoli Ottavio,Otello Monarca, Proietti Domenico, Biagetti Filippo. Vi erano poi un gruppo di collaboratori: Carlo Poggi, Guglielmo Segatori, Raniero Ferretti, Alarico Silvestri, Giuseppe Salvati e Angelo Silvestri.

Più grande d’età degli altri fuggitivi Pelagatti si fece notare per l’assoluta conoscenza e padronanza di quei luoghi. Questa prerogativa fu decisiva, allor quando, la ricostruita Brigata Garibaldi di Foligno, dopo essere stata attaccata, nell’aprile del ’44, dalla divisione SS Hermann Goering, si ricompattò sulle colline di Bevagna e Bastardo.

Le azioni di guerriglia del gruppo si intensificarono con l’avanzamento delle truppe alleate. Furono catturati in totale otto tedeschi e altri due feriti in diverse azioni. Durante gli attacchi furono tolti ai tedeschi sette pistole automatiche, sette carabine, due pistole mitragliatrici e due fucili mitragliatori. Tra i partigiani furono feriti Domenico Proietti e Osvaldo Radicioni.

Il fatto più importante avvenne però il 16 giugno del ’44, il giorno dell’arrivo degli alleati a Bevagna. Durante il ripiegamento, i tedeschi che avevano già fatto saltare tutti i ponti Bevagna, vennero attaccati dalla banda di Pelagatti e il partigiano Marzio Albi catturò tre tedeschi. Mentre i prigionieri venivano portati alle grotte uno di essi saltò nel fosso sottostante e si dileguò. I tedeschi accampati alla Molinella, avvertiti dal fuggitivo, per ritorsione, catturarono in un rastrellamento a Limigiano 30 uomini, donne e bambini, 10 per ogni prigioniero. Sarebbero stati tutti fucilati il pomeriggio se, con un opera di mediazione, Damino Pelagatti in persona non fosse intervenuto a favore della liberazione degli ostaggi. In una chiusa di olivi sopra Castelbuono, alla presenza di Franceschini, Fiore, Formica ed altri componenti della brigata Garibaldi, Pelagatti e Albi, rilasciarono i tedeschi.

Il mancato eccidio di Limigiano provocò grande terrore nella popolazione, paura mitigata solo dalla liberazione e dalla fine delle sofferenze.

Molti furono i bevanati confinati nei campi di concentramento e molti anche le persone rimaste uccise.

Fulgido è l’esempio di Lodovico “Vico”Granieri. Catturato, all’indomani dell’8 settembre, dai Tedeschi a Trieste con tutto il reparto, Vico fu deportato ad Auschwitz come internato militare. Fu trasferito successivamente, nel novembre del ’44, a Ladowitz, nei Sudeti cecoslovacchi, impiegato nello scarico dell’immondizia dai vagoni e nella riparazione dei tratti ferroviari bombardati. Nella primavera dell’anno successivo venne traferito vicino il confine con la Polonia, nell’alta Slesia, sulla linea dei combattimenti tra tedeschi e russi. Scampato miracolosamente alla famosa Marcia della Morte, Vico Granieri ritornò a Bevagna nell’Agosto del ’45.

Le terribili sofferenze patite, il fame, il freddo e la degradazione sono oggi impresse nelle memorie che ha lasciato in un suo bellissimo libro.

Nel 1953 Vico Granieri fondò a Bevagna la Scuola Allievi Ufficiali Marconisti della Marina Mercantile autorizzata dal Ministero della Cultura con la partecipazione del Consorzio Provinciale per l’Istruzione Tecnica di Perugia. Nel 1957 la scuola passò alle dipendenze dell’Istituto tenico Industriale di Foligno.

Le storie individuali e collettive legate alla guerra del ’40 -‘45 sono tante. Si va dalla storia e dal diario di Natale Sposini, fante nella guerra di Russia, che nel 1953 ricevette, con decreto del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, la Croce al valor militare, ai 60 morti e dispersi che non sono mai più tornati.

Ma la guerra è stata anche la sofferenza estrema della popolazione civile, delle donne e dei bambini, costretti troppo presto a diventare adulti. Una storia che non può e non deve essere seppellita.


                                                                                            Mario Lolli


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